Stop in Italia a Chat GPT: Open AI sospende il servizio in seguito alla decisione del Garante della privacy. Ma il chatbot che ha fatto tanto parlare di sé nell’ultimo anno non è il solo nel panorama delle big tech. Anche Google e Microsoft si sono lanciate nella cosa all’AI e ai nuovi motori di ricerca. Ma quali sono le differenze tra i vari chatbot? E come cambiano il nostro rapporto con Internet?
La notizia di oggi è che il Garante della privacy italiano ha deciso di sospendere l’accesso per gli utenti italiani a Chat GPT, come riporta il testo dell’ANSA, aprendo “un’istruttoria contestando la raccolta illecita dei dati degli utenti italiani e ha disposto, con effetto immediato, la limitazione provvisoria del loro trattamento da parte di OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato e gestisce la piattaforma, fino a quando la normativa sulla privacy non verrà rispettata”.
Già agli inizi di Marzo, GamesIndustry.biz riportava la notizia di un comunicato della Federal Trade Commission americana in cui si invitano le aziende ad usare con moderazione nelle loro campagne pubblicitarie il fattore Intelligenza Artificiale come punto di forza dei loro prodotti.
I motivi di diffidenza verso l’utilizzo dei chatbot sono tanti e si concentrano soprattutto sulla natura non trasparente dei meccanismi di raccolta di dati personali al fine di istruire gli algoritmi sottesi al funzionamento dei programmi.
Ma come dicevamo il panorama dei software che basano il loro funzionamento sull’Intelligenza artificiale sono diversi.
Incalza sempre di più la corsa di Google e Microsoft verso la nuova frontiera della ricerca implementata dall’uso di Intelligenza Artificiale.
Ma come appare evidente, la rivoluzione rappresentata dalla nuova era del tech, porta con sé, come tutte le altre, diverse problematiche.
E non si limitano alle politiche di trasparenza e privacy.
I nuovi motori di ricerca
Ma prima ancora di immaginare le nostre vite future come fossero dirette da James Cameron o dalle sorelle Wachowski, dovremmo forse prestare attenzione a come questi strumenti iniziano a far parte della nostra vita semplificando sempre più le piccole infinite operazioni quotidiane tanto da rendersi indispensabili.
Parliamo di internet o meglio dell’uso dei motori di ricerca. Sia Google che Microsoft stanno investendo, in maniera massiccia, rispettivamente su Bard AI e il nuovo Bing.
Facendo – appunto – una veloce ricerca su Google, sembra più o meno parere comune che quest’ultimo detenga poco più del 91% della quota di mercato dei motori di ricerca in tutto il mondo.
Ovviamente Google non condivide le sue statistiche ma, chi è molto bravo in matematica, ha stimato, cifra più cifra meno, che il volume delle query elaborate sia di circa 63.000 al secondo, traducendosi in 5,6 miliardi di ricerche al giorno e circa 2 trilioni di ricerche globali all’anno.
Questo considerando che una persona media effettua da tre a quattro ricerche ogni giorno anche se secondo le personalissime stime di chi scrive attestano che esistono due tipi di persone: chi ne effettua almeno il doppio e chi mente.
Dati alla mano sia Microsoft che Google sono intenzionate, con il lancio dei loro chatbot, a rivoluzionare il metodo di ricerca in internet propendendo per un metodo in grado di scandagliare il web, fare un riassunto di quello che trova e generare risposte amichevoli, semplici e colloquiali ai suoi utenti.
Amichevoli, semplici e colloquiali, proprio come chat GPT.
Ma quali sono le differenze tra i vari chatbot?
Se volessimo riassumere in breve le tre proposte attualmente disponibili potremmo dire che mentre Bing e Bard si propongono di migliorare l’esperienza di ricerca nel web, scandagliando per noi internet e fornendoci i risultati che credono migliori, Chat GPT compone testi in maniera più simile possibile a come farebbe un umano. I primi due in pratica cercano i risultati migliori per noi mentre Chat GPT si concentra sulla creatività
Cosa aspettarci dal futuro di internet
Su The Verge è stato pubblicato un articolo in cui si cerca di riassumere i problemi che potremmo incontrare nell’uso dell’Intelligenza Artificiale nei motori di ricerca.
Ci sembra interessante riproporre brevemente una panoramica
Ci semplificano la vita o sono semplicemente dei generatori di fatti inventati se non addirittura errati?
Questo rappresenta il primo indiscutibile punto che mina la fiducia verso qualsiasi chatbot si decida di usare per una ricerca. I cosiddetti large language models (LLM) le tecnologie cioè, che sottostanno a questi sistemi, sono per loro stessa natura generatori di fatti e costruzioni inventate.
Errori che passano senza soluzione di continuità da piccoli e banali inesattezze all’istigazione al suicidio, senza nessuna distinzione o protezione per l’utente – sia esso magiorenne o minorenne.
Avvertimenti e disclaimer in alcuni casi possono servire a ben poco, soprattutto in un momento storico in cui la lotta a contenuti tossici, marketing aggressivo e fake news è al centro del dibattito sociale.
Una sola, unica risposta definitiva
Il rischio di avere come risposta delle inesattezze o ancor peggio, contenenti dei bias culturali è ancora più esacerbato dalla tendenza della nuova generazione di motori di ricerca di fornire una singola risposta alla ricerca. Una risposta che appare come unica e definitiva.
Il problema è presente già dall’introduzione degli snippet, il box che nelle ricerche appare sotto il nome del sito fornendo un riassunto del contenuto del link riportato, che in molti casi hanno riportato risposte imbarazzanti, scorrette se non pericolose.
Questo problema, con l’uso delle interfacce dei chatbot, potrebbe raggiungere un nuovo livello di pericolosità dato proprio dall’implementazione dell’Intelligenza artificiale,che – si suppone – abbia scandagliato e valutato tutte le risposte possibili offrendo automaticamente la migliore, ma senza attribuzione delle fonti.
La sicurezza
Un’altra possibilità, almeno per chi non ha tutte le migliori intenzioni, è quella di “hackerare” l’Intelligenza Artificiale. Sembra infatti possibile, senza particolari conoscenze informatiche ma semplicemente interagendo con il chatbot, aggirare le loro protezioni e generare contenuti dannosi.
Una volta disattivate queste protezioni, gli utenti malintenzionati possono utilizzare i chatbot AI per ogni tipo di attività dannosa, come generare disinformazione e spam o offrire consigli su come attaccare una scuola o un ospedale, cablare una bomba o scrivere malware. E sì, una volta che questi jailbreak sono pubblici, possono essere riparati, ma resta aperta la possibilità a risultati non controllabili.
Lo scontro culturale e politico
E’ praticamente ovvio che una volta che si ha a disposizione uno strumento in grado di pontificare senza contraddittorio e senza citare le fonti su qualsiasi argomento possibile, è molto probabile che qualcuno possa arrabbi.
Che si tratti della comunità conservatrice di estrema destra che non vede rispondere chat GPT su argomenti a sfondo razziale, o una comunità religiosa che vede che il chatbot è in grado di generare barzellette su una divinità Hindu ma non su Maometto, il terreno, appare evidente, diventa sdrucciolevole.
Da questo punto di vista la questione delle fonti diventa ancora più centrale.
Al momento AI Bing sembra raccogliere le sue informazioni da una grande quantità di siti citandoli a margine. Ma cosa li rende davvero affidabili? Riuscirà Microsoft ad equilibrare il bias politico? Riuscirà Google a stilare delle linee guida per ritenere una fonte affidabile?
Già dall’introduzione del programma di fact-checking di Facebook che dava a fonti di diverso colore politico uguale rilevanza, si è visto un sommovimento di critiche abbastanza pesante. Quanto incide la politica sulla regolamentazione delle Big Tech? Che ruolo rivestirà l’Intelligenza Artificiale?
Regolamentazione
Si dice spesso che la legge si muova più lentamente della tecnologia e forse l’esempio della notizia di oggi potrebbe costituire la classica eccezione che conferma la regola.
C’è comunque da dire che in Italia il chatbot Replika è già stato bannato perché accusato di raccogliere dati su minori, ma restano aperte ancora altre questioni non necessariamente legate solo alla privacy.
Ad esempio si richiederanno accordi economici per l’uso dei contenuti che i chatbot usano per generare le loro risposte?
E di chi sarà la responsabilità giuridica dei contenuti pubblicati? E a proposito del diritto all’oblio?
Come faranno Microsoft e Google ad assicurare che i loro bot non stiano consultando fonti che invece sono state delegittimate?
La lista delle domande è già così abbastanza lunga
La fine del web così come lo conosciamo?
La domanda che molti si pongono è se l’Intelligenza Artificiale possa o meno sostituire l’uomo in molti lavori, in questo contesto potrebbe, paradossalmente, riflettersi sull’Internet stesso.
Analizziamo il funzionamento dei nuovi motori di ricerca.
I motori di ricerca AI estraggono le risposte dai siti web. Se i risultati ottenuti non reindirizzano il traffico ai siti originari, questi perderanno entrate pubblicitarie. E se perdono entrate pubblicitarie, appassiscono e muoiono. E se muoiono, non ci sono nuove informazioni per nutrire l’IA. È la fine del web? Facciamo tutti i bagagli e andiamo a casa?
Si tratta di un’esagerazione ma ad ogni modo questo nuovo modo di presentare le informazioni sembra suggerire una strada non lontana.
Microsoft sostiene di citare le sue fonti e che gli utenti possono semplicemente fare clic per leggere di più. Ma come detto finora, l’intera premessa su cui si fonda l’entusiasmo per questi nuovi motori di ricerca è che fanno un lavoro migliore di quelli vecchi. Si condensano e riassumono. Eliminano la necessità di leggere di più. Microsoft non può sostenere contemporaneamente che sta presentando una rottura radicale con il passato e una continuazione di vecchie strutture.
Probabilmente, anche soprattutto a livello istituzionale, si imporranno se non dei limiti, almeno degli aggiustamenti sostanziali. Volti non solo a preservare l’esattezza, correttezza e l’etica, ma a quanto pare per il benessere e la longevità dello stesso sistema.