LEVEL UP: FABIO POLIMENI, DALL’AIV A PLAY2SPEAK

Il Rome VideoGame Lab è alle porte e tra i moltissimi laboratori, workshop e masterclass, Level Up – la developer conference internazionale sullo sviluppo dei video games – ospiterà oltre 25 tra i più prestigiosi nomi del settore, provenienti da 3 continenti e 11 paesi, e i talenti italiani non mancano!

Fabio Polimeni, Laurea in Ingegneria Informatica al Politecnico di Torino, completa la sua formazione con un Master in Scienze come Videogames Programmer alla University of Hull nel Regno Unito per poi stabilirsi a Madrid, dove co-fonda Play2Speak, piattaforma di e-learning che utilizza l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale al fine di migliorare le abilità nelle conversazioni orali, offrendo un’esperienza di tipo immersivo.

Domenica 6 maggio terrà un talk per Level Up, così per conoscerlo meglio, gli abbiamo fatto qualche domanda!

Come ti sei avvicinato al mondo dei videogiochi e quando hai capito che avresti fatto della tua passione un lavoro?
Suppongo che come molti ragazzi della mia età che giocava ai videogiochi, sono rimasto affascinato da quei mondi fantastici che non sempre obbedivano alle leggi della realtà di tutti i giorni.
Mi ha sempre affascinato l’idea di poter creare qualcosa, di lasciare al mondo qualcosa fatto da me, o come nel caso dei videogiochi, essere partecipe di un progetto condiviso da altri. L’istinto primordiale che mi ha portato a dedicarmi ai videogiochi è stata l’aspirazione di poter creare qualcosa con le mie mani, anche virtuale, in 3D, qualcosa di bello da vedere e divertente da giocare. Quando decisi di iscrivermi all’Università, in Ingegneria, il primo anno mi iscrissi ad Automatica, con la speranza un giorno di essere capace di creare robots.
Andando avanti cominciò a prospettarsi l’immagine di un futuro lavorativo noioso, così decisi di cambiare e dare una speranza alla mia timida ambizione di creare videogiochi. Passai quindi alla facoltà di Informatica, ma purtroppo 16 anni fa in Italia fare videogiochi era considerato poco più di un hobby. Non esistevano corsi specifici di programmazione grafica, almeno al Politecnico di Torino, figuriamoci per videogiochi, così inizia da solo, su libri in inglese che ai tempi non era proprio il mio forte.
Non andai avanti con la specialistica e mi avvicinai ad AIV – Accademia Italiana Videogiochi.

Qual è il miglior gioco mai creato secondo te e perché?
Non credo esista ancora “il miglior gioco”, ci sono molti titoli eccellenti, ognuno per una ragione differente.
Senza dubbio mi è piaciuto tantissimo il primo Deus Ex, perché trovavo la sua libertà d’azione ispiratrice, soprattutto all’epoca. Negli ultimi tempi invece, ho apprezzato di più l’offerta indie, Journey e Inside, sono due perle, degne dell’ammirazione che ricevono, sia per la loro creatività visuale, sia per le meccaniche di gioco.

Quale ritieni sia l’aspetto più “challenging” del tuo lavoro?
Come sviluppatore di tecnologia per videogiochi, sicuramente l’aspetto più complicato, che ho
sempre cercato di affrontare con la massima professionalità, è il giusto equilibrio tra creare tecnologia spettacolare e utile. Non che la prima non possa convertirsi nella seconda, tutti aspiriamo al massimo, però non sempre ciò che è importante per noi coincide con ciò che è importante per il resto del team. Ed è un equilibrio da tenere sempre in conto, per non lasciarsi trasportare troppo dal fattore emotivo.

Quali sono secondo te, le caratteristiche che un character artist/ programmer deve avere?
La mia esperienza mi porta a dire che, sia gli artisti sia i programmatori, tendono a sopravvalutare le proprie capacità di esecuzione.
Quando si lavora in studi AAA, con altri 200-500 colleghi, non è facile tenere in conto tutte le complessità di un task assegnato. La soft-skill che si dovrebbe insegnare in un corso di sviluppo di videogiochi, che prepara al mondo del lavoro, è la capacità di organizzare il proprio tempo. Quando si chiede a uno sviluppatore quanto si impiega per completare un obiettivo, il mio consiglio è puntare al più, senza paura. Nessun producer si lamenterà per il tempo stimato a priori, però sì che lo faranno se il tempo di esecuzione si allungherà eccessivamente. In generale consiglio di chiedere sempre consigli a colleghi più con più esperienza e quindi più esperti.

Guardiamo per un attimo al futuro: come pensi sarà il mondo dei videogiochi tra dieci anni?
È decisamente un momento difficile per qualsiasi analisi che coinvolge la tecnologia e il futuro dell’intrattenimento. Stiamo per affrontare un cambiamento molto importante, con VR e AR alle porte di una rivoluzione tecnologica che non si vedeva dall’epoca dell’iPhone. In più, il concetto di gamificazione si è espanso in tutti gli ambiti. È possibile che in un futuro non troppo lontano la netta divisione tra applicazione e videogioco si dissolva e che gli occhiali di realtà mista AR o VR prendano sempre più piede. Forse ci vorranno più di 10 anni, ma sarei felice di sbagliarmi.

Cosa diresti ai ragazzi che vogliono avvicinarsi a questo mondo?
Studiare! Non esistono scorciatoie. Appassionarsi alle difficoltà – perché se ne incontreranno molte – e convincersi di poterle superare, con lo studio e soprattutto con creatività, ciò che ci rende unici.
Essere umili è fondamentale per continuare a trovare la volontà di migliorarsi giorno per giorno. Quando si è capaci di apprezzare i dettagli e lo sforzo per il lavoro altrui, si è padroni della propria disciplina.

 

Per approfondire: ROME VIDEOGAME LABLEVEL UP

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