Lo stile grafico e visivo dei videogiochi dipende ed è condizionato da numerosi fattori: tono della narrazione, età e cultura del pubblico di riferimento, meccaniche di gameplay, caratteristiche tecniche della piattaforma di gioco, tempo e budget a disposizione, ricerca di unicità e riconoscibilità.
Negli ultimi anni i sondaggi mostrano che la grafica è uno degli elementi principali che motivano l’acquisto di videogiochi.
Si parla spesso della grafica di ultima generazione, di come le attuali tecnologie di rendering permettano risultati incredibilmente realistici.
Ma, al di là delle fredde statistiche, forse la componente più interessante e affascinante della grafica è lo stile di un titolo, ovvero l’espressione artistica del comparto visivo.
Dividere lo Stile Visivo dei Videogiochi in due Macro-Categorie
A differenza di altri medium artistici (fumetto, pittura ecc), per i videogiochi non esiste una precisa classificazione, una terminologia condivisa degli stili grafici, ma provare a definire una serie di categorie è utile per razionalizzare la scelta dello stile del videogioco che si intende sviluppare.
Naturalmente è opportuno rendersi conto che qualsiasi tentativo di categorizzazione degli stili visivi ha il limite fisiologico dato dalle variazioni, sfumature e contaminazioni tipiche di ogni espressione estetica (se non vogliamo usare il termine artistica).
Ai fini di questa disamina, risulta forse anacronistico prendere in considerazione videogiochi storici, la cui grafica è fortemente vincolata da tecnologie datate e, possiamo dire, ormai ampiamente superate.
In altri termini, se iniziassimo oggi a sviluppare un titolo, avremmo potenzialmente una scelta illimitata che, salvo eccezioni, ricadrà comunque in dei canoni stilistici omogenei, riconoscibili, come accade appunto in altri medium molto più vetusti di quello videoludico.
Iniziamo quindi la nostra trattazione dividendo gli stili visivi in due macro-categorie relativamente scontate, ovvero realistico e stilizzato.
Lo Stile Realistico
Obiettivamente, non c’è molto da precisare su questo primo stile che caratterizza moltissimi titoli, soprattutto di produzioni tripla e doppia A per via delle tecniche e dei tempi di esecuzione e delle tecnologie richieste, che necessitano di budget consistenti.
Si può definire come “realistico” quel risultato visivo che, al netto di un certo grado di approssimazione o esagerazione, segue i canoni del mondo reale in termini di proporzioni, superfici e movimento.
In sostanza, forma e dimensione degli oggetti e degli esseri viventi corrisponde a quella del mondo reale.
Allo stesso modo i materiali e le superfici rispondono all’illuminazione secondo parametri fisici reali (o realistici). E infine la gestualità e l’espressività dei personaggi è priva di estremizzazioni ed esagerazioni, tipiche di altri stili.
Per propria natura questo stile richiede gioco forza un sistema di rendering che simuli nella maniera più fedele possibile l’illuminazione ed il comportamento delle superfici ad essa.
Può inoltre beneficiare del supporto delle tecniche di fotogrammetria: una tecnologia relativamente recente, ormai consolidata, che consente di acquisire digitalmente e utilizzare in-game oggetti e superfici reali.
A titolo di esempio di stile realistico possiamo facilmente portare le serie Uncharted e The Last of Us (Naughty Dog) o Red Dead Redemption (Rockstar Games), ma gli studi che li hanno sviluppati non sono ovviamente gli unici sviluppatori ad aver fatto di questo stile il proprio marchio di fabbrica (vedi Crytek, People Can Fly, ed altri).
Beninteso, ambientazioni fantasy o futuristiche avranno certamente creature fantastiche o materiali alieni, ma anche in questo caso (che alcuni definiscono “realistico-fantasy”) la loro rappresentazione visiva segue i canoni del reale, o se vogliamo del verosimile; basti pensare ai recenti Final Fantasy, Elden Ring e Baldur’s Gate 3 o ad Helldivers 2, Halo e Mass Effect.
Inoltre, lo stile realistico può prevedere, come nella cinematografia, aspetti autoriali in chiave fotografica, ad esempio nella saturazione dei colori (Shadow of The Colossus, Mirror’s Edge).
L’estremizzazione di questo stile porta a quello che possiamo definire iperrealistico (o fotorealistico), ovvero una riproduzione e una visualizzazione molto vicina, se non indistinguibile, dal reale.
Chiaramente le attuali tecnologie di rendering in real-time ancora faticano ad arrivare alla riproduzione del tutto fedele della realtà, a meno che non si tratti di renderizzare un singolo frame statico.
Ciononostante la cura maniacale del dettaglio, insieme all’altissima risoluzione di alcuni titoli (Hellblade: Senua’s Sacrifice, per nominarne uno, o Unrecord, ad oggi in produzione), mirano ad ottenere un risultato estremamente vicino alla resa fotografica.
In direzione contraria vanno numerosi titoli, il cui stile grafico e visivo tende al realismo, mantenendo però un margine di libertà espressiva, ad esempio nella modellazione dei personaggi o nel texturing, in uno stile che potremmo definire semi-realistico.
Celebri esempi possono essere Street Fighter, Dishonored e BioShock Infinite con le caratterizzazioni estremizzate, quasi caricaturali dei personaggi e le texture dal sapore pittorico.
Lo Stile Stilizzato
In questo stile che definiamo “stilizzato” cercheremo di inquadrare le innumerevoli varianti di quello stile che abbandona il perimetro rappresentativo del realistico o del verosimile per abbracciare le più disparate forme espressive, ovvero quello stile che comprende tutte quelle varianti artistiche diverse dalla riproduzione della realtà.
La forma più diffusa di questo stile è caratterizzata da una deformazione e semplificazione – intesa come sostanziale omissione di dettagli – dei tre aspetti visivi fondamentali: la forma (le proporzioni), il colore (le superfici e l’illuminazione) e il movimento (inteso come animazione).
Per quanto riguarda modellazione (quindi forme e proporzioni) e animazione (quindi movimento), i videogiochi stilizzati prendono a piene mani da film d’animazione giapponesi e statunitensi e dalle relative culture iconografiche.
Anatomie più o meno deformed (Super Mario) e recitazioni esasperate (Trine) sono elementi caratteristici dello stile stilizzato.
Invece, per quanto riguarda le superfici e quindi i colori, le attuali tecnologie consentono forme espressive piuttosto libere, che tendono solitamente ad attingere da stilemi propri di altri media come il cartone animato, l’anime e il fumetto.
Una tecnica (non tecnologia) tipica dello stilizzato consiste nelle texture “hand painted“, metodo che consente di ottenere una resa visiva molto morbida, quasi pittorica.
Nella storia molti videogiochi hanno adottato questo tipo di texture, tra i quali World of Warcraft e DOTA sono ottimi riferimenti.
Inequivocabile esponente e sicuro termine di paragone per questo stile è per esempio Fortnite.
Clash of Clans, noto gioco per mobile, ha sia anatomie deformed che texture composte da semplici sfumature di colore. Sifu, invece, unisce anatomie realistiche o semi-realistiche a texture sfumate, prive di dettaglio.
Nella seconda parte dell’articolo proveremo ad andare oltre, e affiancare ulteriori attributi a questo stile in modo da specificare meglio la tipologia di stilizzato.
Stilizzato: Un Contenitore di Stili Grafici
Nella prima parte dell’articolo abbiamo individuato le due macro-categorie in cui è possibile dividere lo stile grafico e visivo dei videogiochi, ovvero quello realistico e quello non realistico, che abbiamo chiamato “stilizzato”, e le abbiamo definite considerando i rispettivi aspetti caratterizzanti.
Come detto, le potenzialità artistiche del medium videoludico sono eccezionali e molte ancora inesplorate.
All’interno dello stile stilizzato, possono essere comunque individuate sotto-categorie che definiscono degli archetipi e a cui possono afferire “variazioni sul tema” che, per quanto diverse, hanno in comune dei tratti estetici salienti.
La Grafica Stilizzata: lo stile visivo Cartoon/Anime
Inseriamo in questa sotto-categoria quei videogiochi che riprendono stilemi visivi tipici dell’animazione occidentale ed orientale, basati tipicamente sull’estremizzazione del grado di deformazione delle proporzioni e di semplificazione del colore.
Molti di voi conosceranno Dragon’s Lair, ma, senza andare così tanto indietro nel tempo, esempi perfetti sono Cuphead e Skullgirls, titoli 2D che emulano le primissime animazioni Disney, risalenti ormai a quasi 100 anni fa.
Nella grafica 3D, invece, si ricorre al cosiddetto cel shading per riprodurre l’estetica dei cartoni animati e in particolare degli anime giapponesi.
Questa tecnologia è nota anche come toon shading, il che lascia intuire che si tratti di un sistema di rendering che, a prescindere dalla presenza di texture o meno, “applica” sulle superfici tridimensionali una ristretta gamma di colori a campiture più o meno scure a seconda dell’illuminazione e, qualora previsto, contorna le forme di nero, esattamente come avviene nei cartoni animati.
Accanto quindi ad esempi dall’indubbia impronta nipponica come Dragon Ball FighterZ, Persona e Legend of Zelda, possiamo affiancare titoli “più occidentali” come John Wick Hex.
La Grafica Stilizzata: Graphic Novel
Facendo questa differenziazione ci rendiamo conto di calcare un terreno incerto, ma è innegabile che esistano videogiochi il cui aspetto estetico richiama quello delle graphic novel statunitensi e francesi, in cui il colore è dato in maniera più o meno pittorica, ma rimane presente anche la linea nera, come se fosse un disegno inchiostrato e colorato.
Sono numerosi i videogiochi che uniscono texture hand-painted al cel shading, restituendo un’estetica molto particolare e con una propria identità.
Classici esempi sono XIII, Border Lands ed i titoli di Tell Tales Games, ma ci sono alcune eccellenze che si ispirano ad autori specifici e raggiungono affascinanti risultati visivi: Ōkami, che vuole simulare la pittura giapponese, o Void Bastard e Sable, che omaggiano rispettivamente le opere di Mike Mignola e di Mœbius.
Passando dal 3D al 2D, un esempio più estremo può essere The Darkest Dungeon, con i suoi asset disegnati “a mano” e la sostanziale assenza di animazioni.
Le nuove direzioni della grafica stilizzata
Fin qui, lo “stilizzato” non si discosta molto, negli aspetti caratterizzanti, dall’estetica della stragrande maggioranza dei prodotti di animazione destinati solitamente ad un pubblico giovane.
Rispetto a questi, il videogioco ha forse più limiti tecnici, ma ben pochi limiti espressivi.
Nel videogioco, infatti, si possono trovare approcci grafici coraggiosi e innovativi, che eludono qualsiasi forma di rigida catalogazione.
Ciononostante, proveremo qui ad espandere gli attributi dello “stilizzato”, azzardando ulteriori sotto-categorie che differiscono in maniera sostanziale dalle precedenti.
La Grafica Pixel Art nei videogiochi
La pixel art consiste in una semplificazione estrema del soggetto, fino a rappresentarlo mediante un (variamente) limitato numero di pixel.
In passato, agli albori del medium videoludico, l’adozione della pixel art era obbligata dalle tecnologie del periodo.
Tutti ricorderete dei classici degli anni ‘80 entrati nell’Olimpo della cultura pop: Space Invaders, Pac Man, Super Mario Bros, Doom e decine di altri capolavori.
Caduti i vincoli tecnici, oggigiorno la pixel art è una scelta stilistica frequentemente adottata dagli sviluppatori indie e solitamente usata nei videogiochi 2D, ma non solo.
Con qualche difficoltà scegliamo di citare: Superbrothers: Sword & Sworcery, per l’aspetto artistico, Carrion, per l’aspetto tecnologico, Dave The Diver, per aver fuso in alcuni momenti 3D e pixel art, Vampire Survivors per il successo.
Nella grafica 3D i pixel sono spesso sostituiti dai voxel. Minecraft è un celebre esempio di “voxel art” in cui gli asset sono ridotti a pochi cubi colorati.
Lo Stile Grafico Minimale
Con “minimale” intendiamo comprendere tutte quelle forme estetiche che esulano significativamente dalle precedenti, e che sono caratterizzate dalla sostanziale assenza di dettaglio, fino ad arrivare alla grafica geometrica e/o monocromatica. Per semplicità, riportiamo pochi esempi che aiutino ad inquadrare questa macro-categoria.
Among Us: qui siamo ad altissimi livelli di sintesi grafica, tanto da ricordare i vecchi giochi 2D in Flash, tanto in voga prima della diffusione degli smartphone.
Journey: un’esperienza, più che un gioco, che viaggia verso l’astratto, caratterizzato da geometrie essenziali e sfumati cromatismi pastello, e nella stessa direzione va Gris, suo omologo 2D.
Limbo: un puzzle-platform cupo dove mondo e personaggi sono semplici siluette nere.
Thomas Was Alone: stesso genere del precedente, ma la sintesi è spinta al punto di limitarsi a rappresentazioni meramente geometriche.
Superhot: gioco per VR low-poly e dalla palette cromatica ridottissima.
Ribadiamo che la nostra proposta di categorizzazione degli stili grafici e visivi dei videogiochi sia tutt’altro che a compartimenti stagni e che esistano diversi videogiochi la cui collocazione in uno stile definito può essere oggetto di discussione.
Proprio per questo motivo abbiamo ritenuto poco utile, soprattutto in questo contesto, moltiplicare le sotto-categorie.
Altri esempi di stile grafico e visivo dei videogiochi
Concludiamo con qualche esempio concreto a riguardo, in modo da stimolare la vostra analisi critica sull’argomento.
XCOM: questo titolo mostra una certa semplificazione delle superfici e assenza di dettaglio, tipica dello stilizzato. Questo è motivato non soltanto da una volontà artistica, quanto dal fatto che si tratta di un gioco non immersivo (in prima o terza persona), ma isometrico, e le scene sono inquadrate da una distanza tale da non necessitare di un alto livello di dettaglio, che potrebbe addirittura rendere meno leggibili le forme. Visivamente rimane comunque nell’ambito del (semi) realismo.
Overwatch: a prima vista la modellazione non presenta stravolgimenti nelle forme e nelle proporzioni, e le superfici, sebbene prive di grande dettaglio, rispondono alla luce in maniera piuttosto coerente. Da questo punto di vista si può assimilare ad uno Street Fighter. Le caratteristiche somatiche dei personaggi, però, a differenza dei combattenti del titolo Capcom, a nostro avviso lo fanno ricadere nello stilizzato più classico.
The Return of Obra Dinn: alla base è un videogioco 3D semi-realistico, ma la renderizzazione richiama fortemente la pixel art. L’effetto complessivo è quello di un fumetto bianco e nero, il che, insieme all’assenza di animazioni, potrebbe farlo rientrare nello stilizzato-minimale.
In questo caso, lasciamo a voi le conclusioni.