Stefano Ahmed è un ex studente di AIV – Accademia Italiana Videogiochi, diplomato in Grafica 3D ora freelance junior Environment Artist
Stefano, insieme a Davide Dal Cin, è stato selezionato, dopo la fine del corso, per un programma gratuito di mentorship condotto da Simone Silvestri, Lead Environment Artist a Remedy Entertainment nonché ex allievo e ora docente in AIV.
Appassionato di ambienti realistici, scultura e modellazione 3D, durante il programma Stefano ha realizzato un’ambientazione dal titolo The Office, un environment realizzato interamente in Unreal Engine 5. Partendo dal concept fino alla realizzazione dei props, la vera difficoltà di questo tipo di lavoro è sicuramente quella di trovare la giusta chiave per ottimizzare il workflow mantenendo la necessaria cura dei dettagli.
Il risultato è stato davvero sorprendente e vi consigliamo di dare uno sguardo al suo portfolio su ArtStation in cui è possibile vedere anche un video che mostra molto più nel dettaglio tutta l’ambientazione.
The Office è stato inoltre scelto insieme ad altri lavori dei ragazzi che attualmente frequentano ancora per qualche mese l’ultimo anno di Grafica 3D, per essere musicato dagli studenti del corso di AIV di Musica per Videogiochi, Film e Serie TV e avremo presto modo di mostrarvelo.
Ma per avere qualche dettaglio in più abbiamo contattato Stefano e gli abbiamo rivolto qualche domanda per capire meglio cosa questa esperienza gli abbia insegnato e quali siano stati gli aspetti chiave di questo programma.
Ciao Stefano, complimenti per il tuo lavoro, è stupendo. Grazie per averci dedicato del tempo. Volevamo farti qualche domanda sul tuo lavoro, sulle tue passioni e conoscere qualche dettaglio in più sulla realizzazione di The Office.
Innanzitutto come mai la scelta dell’Environment Art? Tra tutte le varie specializzazioni e le professioni che vengono presentate nel corso di Grafica 3D cosa ti ha fatto decidere per questa strada?
Mi hanno sempre affascinato più i luoghi che le persone, anche nella vita reale; sono un osservatore, mi piacciono i dettagli e mi piace ciò che la gente non racconta di sé; un vestito o un’acconciatura non dicono veramente chi siamo: raccontano solo chi vogliamo comunicare di essere; in una stanza privata ad esempio troviamo tutti quegli elementi che parlano di noi per noi; questo è l’aspetto che mi affascina di più dell’environment art, la possibilità di raccontare storie inedite e nascoste; senza contare che, mio parere personale, costruire un mondo funzionante e credibile sia una delle sfide più grandi all’interno di un videogioco, specie in un contesto attuale dove gli ambienti diventano sempre più grandi e interessanti.
Parlaci un po’ di “The Office”. Si tratta di un’ambientazione che ricorda molto i film noir. Come ti è venuta l’idea?
Per essere ammesso alla mentorship con Simone ho realizzato un’ ambientazione esterna, una città post-apocalittica. Una volta entrato in gruppo abbiamo convenuto che fosse meglio ricreare un’ambientazione più intima, come l’interno di un ufficio o un distretto di polizia su un tema horror; da lì il passo è stato breve dal momento che le ambientazioni anni ’40-’50 sul tema le ho sempre trovate affascinanti; giochi come “The sinking” city e film come “L.A. Confidential” hanno fatto il resto.
Sicuramente l’illuminazione della scena ha ruolo fondamentale, e anche nella descrizione del tuo lavoro hai menzionato questo aspetto come uno dei più delicati della lavorazione. Come sei riuscito ad impostare il lavoro?
Ore di tutoring acquistate su delle piattaforme online e, cosa più importante, molto tempo dedicato a provare e riprovare toccando gli slider al dettaglio per arrivare al risultato che volevo. Ho dovuto realizzare presto che avevo bisogno di stratificare l’illuminazione su più livelli: anche riproducendo una buona illuminazione notturna esterna, all’interno dell’ufficio la visibilità era minima o non soddisfacente; quindi ho dovuto costruire un’altra illuminazione, stavolta interna, cercando di rendere visibile ciò che mi interessava lo fosse ma allo stesso tempo di rispettare quello che si sarebbe intravisto dalle finestre. Simone ha subito chiarito che la scena avrebbe dovuto funzionare completamente anche al buio, in assenza di luci artificiali interne, e questo mi ha sicuramente spinto a cercare le impostazioni migliori.
Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato nella realizzazione della tua idea?
Illuminazione a parte sicuramente la più grande difficoltà è stata quella di rendere vivo un ambiente completamente deserto; la sfida era quella di dare l’impressione che fosse successo qualcosa immediatamente prima che la camera prendesse vita mostrandoci l’ufficio; dunque lavorare con lo storytelling e badare ad ogni dettaglio, come il fumo di sigaretta o il lampadario che ancora gira, anche se lentamente per un’interruzione di corrente parziale.
Inoltre mi sono scontrato con alcuni miei limiti tecnici che sono stato costretto a superare e questo, grazie a Simone e ai miei colleghi, mi ha permesso di tirare fuori da “the office” una qualità che precedentemente non avrei saputo ricavare.
Quali sono state invece le cose in più che hai imparato confrontandoti con un progetto così complicato?
Tutta la parte relativa a teorie del colore e della composizione; l’utilizzo di un buon framing e le regole fotografiche che permettono di rendere i soggetti interessanti; Simone ci ha insegnato a più non posso il concetto di less is more, raccontare senza sdoganare, farsi leggere tra le righe di un dettaglio piazzato lì solo per quello scopo, ma allo stesso tempo soddisfare tutti quei requisiti inconsci della mente che ci fanno leggere un’immagine come plausibile. Il suo tocco su tutti e tre è sicuramente visibile nei nostri lavori.