A TU PER TU CON…SALVATORE FIORE

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Ciao Salvatore, grazie mille per aver accettato la nostra intervista, potresti presentarti brevemente ai nostri lettori (età, ruolo, azienda in cui lavori, città)?

Grazie a voi, è sempre un immenso piacere avere a che fare con la realtà che ti ha dato i “natali” professionali, ed è ancora più bello riuscire a trasmettere qualcosa alle future generazioni di game dev Italiani raccontando un poco della mia (modesta) carriera nel settore.
Mi chiamo Salvatore Fiore, vengo da Striano, provincia sperduta di Napoli, ho 32 anni, sono un Character Artist e attualmente vivo a Berlino e lavoro per Toadman Interactive, che ha da poco aperto una filiale tedesca (loro sono Svedesi).

Da quanti anni lavori nella game industry? In quale ruolo e dove hai iniziato il tuo percorso professionale? Quando hai capito che volevi lavorare nei videogiochi?

Ridendo e scherzando ormai sono 10 anni che faccio questo mestiere. Le vicissitudini legate alla mia carriera sono travagliate, perché appena dopo AIV ho iniziato con degli amici a moddare e fare qualche demo, finché, al primo Gamecon di Napoli, fummo notati da un’ allora nascente azienda che voleva affacciarsi al mondo dei videogiochi e fummo assunti in toto. Li, dopo un percorso non proprio facilissimo, abbiamo dato ai natali quello che è stato il mio (nostro) battesimo di fuoco: I’m Not Alone, un survival horror per pc per il quale ho fatto il personaggio principale, i concept, qualche mostro e un bel po’ di props. Da li in poi, è stato un crescendo, lavorando sia per aziende italiane che estere, come freelancer che come in-house artist.
Vorrei aggiungere che ad un certo punto della mia carriera decisi di posare temporaneamente la penna digitale perché sentivo che mancava qualcosa nella mia formazione. E così, ripensandoci adesso dopo anni, feci una cosa azzardata pur di ricongiungermi col mio lato artistico più intimo e atavico: lasciai tutto per ritornare a disegnare a mano, fare più corsi di anatomia e di disegno dal vero, ritornare a dipingere. Sapevo di dover colmare delle lacune, anche se, ancora oggi, non mi sento di affermare di essere soddisfatto delle mie capacità, devo a me stesso una certa resilienza (o testardaggine, non l’ho ancora capito).
Quando ho capito di fare videogiochi? Diciamo che l’ho sempre saputo!
Ma ho un aneddoto che conservo gelosamente nel cuore che potrei raccontare.
Era l’Agosto del ‘92 e avevo 5 anni, mi trovavo in vacanza con i miei nella nostra località storica e, tra un gelato, un bagno e una scazzottata, vedo al bar del lido che frequentavo due signori che armeggiavano con uno dei cabinati che andavano ancora a 200 lire. Stavano montando la scheda di un nuovo gioco, e una volta finito, accesero il cabinato per testare la scheda e davanti a me apparvero questi enormi personaggi super definiti darsele di santa ragione e lanciare sfere infuocate dalle mani: questo è stato il mio primo folgorante (e segnante!) contatto con Street Fighter II, titolo che alla sola vista mi fece pensare “io voglio fare questo da grande”. Da li tutti i miei sforzi, ore di tempo libero e sogni furono convogliati in un unico punto focale: fare del game dev la mia professione.

Quanto sono stati importanti gli studi per poter lavorare nel settore?

Tantissimo. Ricordo ancora quando su un Game Republic del 2004 vidi una piccolo spazio dedicato ad AIV e fu un’altra svolta epocale nella mia vita. Il fatto è che sapevo quello che volevo fare ma non sapevo come farlo, e all’ epoca non esistevano i mezzi super veloci di adesso come i social e youtube, quindi realizzare che la fuori c’era una scuola che poteva quantomeno indirizzarmi fu di grande sollievo! La mia vita pre AIV l’ho trascorsa scrivendo, tentando di imparare qualche linguaggio di programmazione/scripting, ma soprattutto disegnando: ed infatti in AIV ho capito che l’ago avrebbe, da lì in poi, proteso per sempre verso la componente artistica del game dev; prima era convinto che sarei diventato game designer, perché volevo (e ancora voglio, eh) raccontare al mondo la mia di storia, ma lì ho realizzato cosa fosse un game designer di professione e che, quindi, in effetti fossi portato più per altro. Inoltre ho imparato che, nonostante volessi occuparmi della parte artistica/grafica del videogioco, è importante conoscere le varie figure professionali che compongono un team e, spesso, fanno cose molto settorializzate: character artist, td, animatore, texture artist, per non parlare di nuove figure che ormai prendono sempre più piede anche nel real time come i groom artist o gli shader artist.
Da lì è stato un crescendo: ho sempre avuto una passione per disegno e scultura, ho affrontato studi artistici alle superiori e ora è diventato il mio pane quotidiano. Ma ci tengo a menzionare che negli anni ho fatto anche altri tipi di corsi: dai sopracitati disegno dal vero e anatomia in una scuola napoletana organizzata come una bottega del ‘600, a cose molto più specifiche come il corso di real time hair con Adam Skutt o un altro corso di anatomia con il Dan Crossland. Ora, dopo anni di studio e di lavoro, posso dire che l’unica cosa che non mi stanca mai è l’anatomia, e ogni pezzo che scolpisco, per lavoro o per me stesso, è un viaggio dentro il meraviglioso e perfetto corpo umano, ed è quello il mio focus ora (anche se non disdegno l’hard surface, purché sia fatto in Zbrush! ).
Vorrei aggiungere che questo è un settore che viaggia alla velocità della luce e non si smette mai veramente di imparare: in una sola decade sono passato dal flat shading con texture hand-painted, alle normal map, al deferred shading, fino all’odierno pbr workflow, quindi non bisogna avere paura mai di rimettersi in gioco e fare corsi e studiare e imparare.

Attualmente sei character artist presso Toadman Interactive. Potresti spiegarci nel dettaglio in cosa consiste il tuo lavoro e quale è il tuo workflow (se puoi dircelo)?

Certo!
Allora, il mio workflow è abbastanza standard, guardando all’industria odierna del real time: potrei riassumere i passaggi in high poly, low poly, uv, bake, texturing/shading, skinning, implementation.
Uso Zbrush la maggior parte del tempo per l’high poly, Marvelous per una base di cloth simulato, che se da un lato è time consuming perché per raggiungere cose “belle” devi penare un poco, da un lato è molto comodo perché quando sei soddisfatto della base ti dà un boost di realismo notevole al modello; per il low poly uso Topogun e, qualche volta, Maya; sempre Maya per le uv; Substance Painter o Marmoset per il baking delle mappe e sempre Painter per le texture. Dipende dal progetto in cui sono coinvolto qua in Toadman, ma capita spesso di dover skinnare il proprio modello e, se posso aggiungere, è una cosa che mi rilassa un sacco e soprattutto mi piace sapere che un modello che ho fatto io abbia le deformazioni che io ho in mente. Inoltre, sempre in relazione al progetto, è possibile che io abbia un’ art direction molto precisa alla quale rifarmi, o non averne alcuna e quindi fare anche da concept artist, o avere un’ art direction sommaria e improvvisare in Zbrush, quindi lavorando in tandem con director e designer per avere qualcosa che soddisfi entrambi.
Ci tengo a soffermarmi un attimo sulla questione di implementazione; una differenza sostanziale tra un artista da remoto e uno in studio sta proprio nel rapporto con il gioco e l’engine su cui gira: quando lavoravo da freelance capitava sempre che una volta fatto il modello, bello texturizzato ed impacchettato, il mio lavoro finiva la, mentre in studio non è assolutamente così! Qua in Toadman abbiamo una regola molto semplice: “You do the sh*t? You test your sh*t!”

Quindi, gli artisti, non sono solo responsabili della componente grafica, ma anche di quella funzionale del modello. Quindi, oltre ai vari Maya e Substance e Unreal, un minimo di dimestichezza con un qualsiasi editor di testo tipo Sublime Text o IntelliJ ho dovuto svilupparlo, in quanto implementare personaggi o un’arma o un’armatura o una skin richiede dover scrivere semplici righe di codice che, ad esempio, attivano questa cosa o quest’altra, di testare la roba in questo livello o in quell’altro. Inoltre, in studio, hai a che fare con LOD, collision meshes, shadow meshes, ottimizzazione, senza contare un minimo di shading (fatto con gli appositi nodi di Unreal/Unity). Last but not least: il saper lavorare in gruppo, dando conto a lead, supervisor, art director, producer e software di controllo di versione (tipo svn) con il quale è molto facile fare pasticci (ed io ne ho fatti tantissimi!).

Un consiglio a chi vuole intraprendere una carriera nella Grafica 3D per videogiochi.

Beh, se posso permettermi, ne ho due:
Il primo, che riguarda strettamente il mestiere è: fate focus; è un mondo spietato nel quale l’asticella della qualità e delle cose da sapere si alza giorno per giorno, quindi trovate qualcosa che vi diverte e sul quale sapete che potreste passarci ore senza stancarvi e/o annoiarvi: solo così riuscirete a trovare la vostra strada in un settore che va via via complicandosi sotto ogni punto di vista. Ma non dimenticate comunque che anche se la tecnologia corre velocissima, abbiamo nuove pipeline e nuovi software ad ogni nuova generazione di console, siamo artisti e il nostro compito principale è di fornire ai clienti cose belle.
Ma la cosa che mi sento di consigliare di più è… non smettete mai di essere videogiocatori, quindi giocate, informatevi, retrogiocate. Ho trascorso anni, soprattutto all’inizio della mia carriera, in cui, per sfornare materiale, praticamente passavo quasi tutto il tempo a farli i giochi piuttosto che giocarli. E ci sta. Ma nella mia specifica situazione mi ha portato un certo disagio interno e oggi, credo, di aver raggiunto un buon equilibrio: non gioco come giocavo, per dire, ai tempi delle superiori che uscivo da scuola, mangiavo al volo e poi mi lanciavo davanti alla Dreamcast per giocare tutto il pomeriggio a Shenmue, purtroppo questo non mi è più possibile, ma ritagliarsi uno spazio giornaliero, anche minimo, al videogioco è fondamentale secondo me, perché ci riconnette alla nostra essenza e non ci fa dimenticare perché stiamo facendo quello che stiamo facendo. Devo dire che le console portatili (psVita e Switch su tutte) aiutano tanto a godersi 10 minuti di spensieratezza e il weekend, ora, lo trascorro metà a lavorare a progetti miei e metà a giocare. Non uccidete mai quel bambino che si meravigliava davanti a quei 2 pixel che saltavano da una parte all’altra dello schermo, il rischio è quello di far diventare il lavoro più bello del mondo in un lavoro regolare.

 

Grazie mille Salvatore per la tua testimonianza e in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri!

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